venerdì 3 febbraio 2017

Ceci e baccalà

Ceci e baccalà

Qualche anno fa vi fu una dura polemica su una promozione del giudice Paolo Borsellino, poi barbaramente ucciso pare dalla mafia. La polemica non si incentrò sulla figura del magistrato, la cui onestà era evidente anche a chi non voleva vedere, bensì sulle modalità di nomina e fu innescata da Leonardo Sciascia. Ora, pensare che uno scrittore dell’onestà intellettuale e dell’intelligenza di Sciascia potesse aver accusato genericamente i ‘professionisti dell’anti-mafia’ infilando nel mucchio Falcone e Borsellino sembra una nota stonata, una stecca, qualcosa che stride con le sue continue e più che lungimiranti denunce. Il fondatore del giornale la Repubblica, Eugenio Scalfari, ovviamente prese la palla al balzo per cercare di gettare discredito sullo scrittore siciliano che aveva addirittura avuto l’imprudenza e l’impudenza di dare ascolto a Marco Pannella, uomo politico di grande levatura morale e intellettuale che amava ripetere ‘P2, P38, PScalfari’, slogan che presumibilmente non lusingava più di tanto il fondatore di quello che in pochissimi anni è divenuto uno tra i più importanti e potenti giornali italiani. Sciascia non ebbe bisogno di protezioni politiche per rispondere e ovviamente lo fece con la sua più che temibile spada, la penna, o se si preferisce la macchina da scrivere, che utilizzava con una maestria a dir poco geniale e degna della migliore tradizione letteraria italiana, che include Dante e Manzoni e certamente non qualche direttore di giornale in cerca di gloria intellettuale e letteraria che ovviamente i posteri non gli tributeranno se non in quanto, appunto, fondatore di un giornale. Sciascia rispose, ma prima ancora disse, espresse un dubbio di natura formale da grandissimo conoscitore della legge, di meccanismi contorti, dello Stato, che lui scriveva con la minuscola, ‘stato’ e giustamente mai ‘Stato’, e dell’umana natura. Egli scrisse che Borsellino era stato promosso in modo poco rispettoso della consuetudine al punto che l’organismo preposto a tali affari ebbe la necessità di giustificare per iscritto tale meccanismo che violava l’ortodossia. Attenzione, disse il Grillo Parlante siciliano, questo è fatto molto grave, bisogna fare in modo che la regola, in cose tanto delicate, sia palese, non lasci adito a dubbi e interpretazioni personalistiche. Aveva capito, ovviamente, che quella promozione di Borsellino era il preludio alla non promozione di Falcone e della creazione di una sorta di meccanismo al di sopra di ogni sospetto e al di fuori di qualunque forma democratica che era il cosiddetto pool antimafia. Chissà perché in Italia quando qualcosa non si vuole definire in modo netto, chiaro, trasparente viene celato dietro una parola straniera, ‘pool’. E questa volontà di celare, di opacizzare Sciascia l’aveva capita da prima ancora che si cominciasse ad utilizzare la parola straniera. Non soltanto ma aveva denunciato a chiare lettere che, una volta tolti i veri giudici antimafia, l’azione di tale organismo sarebbe stata inglobata nelle consuetudinarie relazioni tra Stato e mafia, senza dirlo in modo troppo esplicito, ma aprendo uno spiraglio e prevedendo quello che oggi è più che evidente, se si hanno occhi che vogliono vedere e non un’ottima vista con scarsa volontà di visione. Egli disse che le procedure sono importanti e preconizzò che l’antimafia sarebbe miseramente fallito se non vi fosse stata l’intenzione della trasparenza perché la mancanza di meccanismi limpidi porta all’immunità, all’intoccabilità e dunque alla mancanza di qualunque forma di controllo democratico. Cosa che è puntualmente avvenuta. Con la morte di Falcone e Borsellino il pool si è disgregato, la lotta si è placata e i professionisti dell’antimafia hanno trovato terreno di coltura presso una fittissima rete internazionale di enti ed organizzazioni create per combattere le mafie, ma di Falcone e Borsellino c’è rimasta la memoria, il ricordo e qualche fondamentale indagine che però si è poi scontrata contro il muro di gomma del secolare rapporto tra politica, religioni e mafie ampiamente denunciato da Sciascia. Lo scrittore siciliano aveva semplicemente svolto la sua funzione di Grillo Parlante, ad essere schiacciati sono stati i magistrati e le forze dell’ordine che combattono e che agiscono concretamente, giorno per giorno per combattere l’illegalità nel nostro BelPaese e lui, ovviamente, s’è beccato il marchio infamante dell’attacco all’antimafia e ai suoi martiri, gli anatemi lanciati da chi ha sempre negato l’esistenza della mafia finché è divenuto di moda, elemento necessario alla credibilità, affermarne la presenza anche nei gangli vitali dello stato, o dello Stato che scriver si voglia.
Questa ricetta, semplice di sapore e laboriosa nella preparazione, e tradizionalmente cucinata di venerdì nella provincia di Roma, è ispirata alla apparente semplicità, alla densità delle parole di Leonardo Sciascia, che richiedono una profonda, netta e limpida onestà intellettuale per essere appieno comprese e amate.

Ceci
Acqua
Rosmarino
Timo citronella
Sale integrale
Olio extravergine di oliva
Baccalà
A piacimento aglio e peperoncino


Dissalare bene il baccalà o comprarne di già dissalato o farsene dare un pezzo dalla Suocera o da chi lo abbia dissalato per bene. Lessare i ceci in abbondante acqua con rosmarino e timo citronella, dopo averli fatti rinvenire per una notte in abbondante acqua tiepida per almeno il doppio o il triplo del loro volume. In una padella far scaldare l’olio, aggiungervi il baccalà eventualmente spellato, quindi aglio e peperoncino se piace, dopo poco anche i ceci lessati e lievemente salati e un rametto di rosmarino fresco. Far cuocere a fuoco medio-alto. 

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