Polpettine con witlof e carote
Alcuni
grandissimi scrittori hanno la meravigliosa capacità di condensare in pochissime
parole concetti all’apparenza semplici ma in realtà complicatissimi e che
generalmente richiedono pagine e pagine di spiegazioni ed eruditissime
argomentazioni per poter essere non soltanto comprese bensì anche spiegate,
espresse. Leonardo Sciascia è sicuramente tra loro, così come lo è Alessandro
Manzoni e Dante Alighieri. Il grandissimo autore siciliano è capace di spiegare
tutto quello che è accaduto e continua ad accadere in Italia, in forma più o
meno diluita, utilizzando, quando ha intenzione di raccontare lentamente con
l’ausilio di esempi in non più di trenta righe, se decide di fornire
definizioni chiare e precise in neanche cinque righe ma se vuole esprimersi in
modo netto è capace di distillare millenni di società, storie, evoluzioni in
non più di due righe. Le sue frasi sono una successione non progressiva di
lampi, le parole che scrive hanno la densità della roccia più dura, inscalfibile
e la limpidezza della verità corredata da una intelligentissima quanto rara
onestà intellettuale. Egli farfuglia, sembrerebbe, e poi come se niente fosse
forgia perfezione. È inevitabile che i suoi scritti facciano pensare all’arte
italiana, a Michelangelo, a Leonardo da Vinci. Il movimento perpetuo delle
statue di Buonarroti e la assolutezza decisa, semplice e piena dello sguardo
tra l’arcangelo e la Madonna nell’Annunciazione leonardesca custodita presso gli
Uffizi di Firenze. In Todo Modo egli spiega il principio alla base della
civiltà giuridica in qualunque tempo e territorio con preziose parole, nel
momento in cui c’è la necessità della legge si ammette di essere tutti
colpevoli. È talmente ovvio da risultare incomprensibile: le persone dovrebbero
essere dotate della capacità di agire distinguendo il bene dal male, il giusto
dall’errore. Nel momento in cui gli esseri umani si riuniscono a formare delle
società più o meno complesse dovrebbero poter essere in grado di non arrecare
danno a sé stessi e agli altri eppure c’è bisogno della legge, le società
creano la legge, così come creano le religioni, i poteri forti e deboli. Non è
una necessità di narrazione, di costruzione di senso, è qualcosa che presuppone
che chiunque potrebbe essere in errore, dunque è un’ammissione di colpa
collettiva. La stessa istituzione dell’istituto legislativo è un colossale
autodafé, la necessità di darsi delle regole perché altrimenti non si è in
grado di discernere. L’amicizia, l’amore hanno delle regole non scritte, si
fondano su principi che di volta in volta vengono rimodellati in funzione degli
individui che compongono quell’unità alla base di qualunque società, delle
esigenze oggettive e soggettive e non ci sono, se non nelle medievali cronache
trobadoriche, regole scritte per i sentimenti più puri, intimi e personali. Imporre
un’amicizia o un amore è come dire non amare. Nel momento in cui le società
hanno bisogno dell’istituto legislativo, qualunque esso sia, o di quello
religioso, vuol dire che vi è una collettiva ammissione di incapacità di amare
e, fondamentalmente, di essere certi della propria onestà, per quello che
significa nelle differenti accezioni culturali, spaziali, temporali.
Questa ricetta è
ispirata alla capacità di condensare il pensiero dell’umanità intera in,
letteralmente, poche parole.
Carne di manzo e
vitella macinata al momento dal macellaio di fiducia
Indivia belga
witlof
Pane raffermo
Latte
Sale integrale
Carote
Pangrattato
finissimo fatto in casa dai Suoceri
Olio
extravergine di oliva
Burro della
Latteria sociale di Beduzzo Inferiore
Omogeneizzare il
macinato nel mixer, porlo in un recipiente, bagnare il pane nel latte tiepido,
omogeneizzarlo nel mixer, pelare e lavare le carote, sminuzzarle nel mixer
insieme alla witlof ben lavata. Unire gli ingredienti mescolandoli bene, fare
delle palline di circa 2 cm di diametro, passarle nel pangrattato, porle in una
teglia oliata, aggiungere un fiocco di burro e infornare in forno ben caldo a
180°C o 200°C per il tempo necessario alla cottura.
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