Zuppa di ceci col pomodoro
Se persone
appassionate di danza contemporanea, guardando il cartellone di un importante e
costoso festival romano, preferiscono andare al cinema a vedere un film
farsesco piuttosto che partecipare alla prima giornata festivaliera c’è
qualcosa che non quadra nella programmazione di suddetta kermesse, ma
soprattutto c’è una precisa volontà politica, essendo il luogo di svolgimento
della manifestazione a dir poco lottizzato da partiti e partitelli, di evitare
la partecipazione del pubblico a quella meravigliosa magia che si crea ogni
qual volta si entra in un teatro, a maggior ragione per uno spettacolo di arte
coreutica. La danza, in particolar modo contemporanea ma anche il balletto
nella sua attuazione del momento presente, è la più esatta forma espressiva
della contemporaneità, del vivere nell’istante esatto in cui si agisce nello
spazio e nelle società dell’oggi. Coreografi e danzatori, scenografi,
costumisti e musicisti, tecnici di palcoscenico sanno cogliere ed esprimere le
più sottili variazioni nell’espressione mediata, trasmessa, dai corpi, quella
per cui l’istinto naturale si incontra con le esigenze e le necessità della
società nel momento stesso in cui ciò avviene, ovviamente nel movimento
presente. Vi sono certamente coreografie che rimangono eternamente, o quasi,
nella memoria corporea, non al livello delle parole, ad esempio di una commedia
greca, ma ogni qual volta che vengono messe in scena è letteralmente
impossibile riprodurne l’esattezza di movimento per il semplice motivo che gli
antichi greci agivano nello spazio in modo differente rispetto agli antichi
romani, ai rinascimentali, ai risorgimentali, alle persone del secondo decennio
del XXI secolo. Si parla, si cammina, si gesticola, si agisce lo spazio e il
tempo in modo diverso e il corpo, più che le parole esprimono in modo evidente
queste differenze. Una coreografia degli anni ’60 del ‘900 risulta obsoleta nel
movimento rispetto ad un libro scritto nei medesimi anni, a guardarla sembra
quasi che il linguaggio corporeo manchi di qualche lettera, di qualche modalità
espressiva, che ovviamente è il risultato di anni di mutamenti sociali,
comportamentali, mediatici, antropologici e delle tecnologie, non tanto quelle
elettriche bensì quelle che afferiscono alle tecniche di movimento. Negli anni ’60
si cominciava a pensare che il baricentro corporeo potesse essere anche nelle
periferie del corpo, dopo la rivoluzione che lo aveva visto spostarsi dal torso
al bacino, e quella successiva che lo addirittura spostato verso l’altro da sé,
il pavimento, il compagno; oggi il baricentro corporeo semplicemente non è
oggetto di discussione, non vi si fondano teorie e tantomeno tecniche, è ovvio
che il baricentro sia ‘spostabile’ in base alle necessità coreografiche.
Quando la danza
sembra obsoleta vuol dire che qualcosa di profondamente sbagliato sta avvenendo
nella cultura contemporanea: non vi è interazione tra pubblico, sistema di
distribuzione, e produttori di danza. C’è una distanza che non può e non deve
esserci, c’è un enorme problema comunicativo, ma se c’è tra pubblico e danza è
come dire che gli esseri umani sono completamente androizzati e robotizzati,
cosa che non è.
Questa ricetta è
ispirata alla fisicità del gusto e alla meraviglia di corpi in movimento su un
palcoscenico, con la speranza che il ‘sistema danza’ riesca a ritornare in sé e
riprendere la sua funzione di espressione del tempo e dello spazio presente.
Ceci
Acqua
Rosmarino
Pomodoro
dell’orto, anche conservato in barattolo, a pezzettoni
Aglio, se piace
Sale integrale
Olio
extravergine di oliva
Sagnette
spezzettate (uova e farina, sfoglia piuttosto spessa) oppure maltagliati di acqua
e farina o gnocchetti di farro (acqua e farina di farro)
Lessare i ceci
in abbondante acqua con il rosmarino e, se piace, il timo, dopo averli fatti
rinvenire per una notte in abbondante acqua. Preparare la pasta, se sagnette
impastando uova e farina, tirando la sfoglia piuttosto spessa, facendola a
fettuccine e quindi spezzandola con le mani una volta asciugata; se maltagliati
impastando acqua e farina stendendo la sfoglia non sottile oppure acquistando
quelli in commercio; gli gnocchetti di farro vanno preparati immediatamente
prima di metterli in pentola impastando acqua e farina di farro, quindi facendo
un budellino di circa mezzo centimetro di diametro e vanno tagliati più o meno
come gli struffoli. Scaldare appena appena l’olio, se piace con l’aglio
altrimenti soltanto col rosmarino, aggiungere il pomodoro, dell’orto tagliato
oppure estratto dal barattolo, rigorosamente artigianale perché altrimenti
cambia il sapore, salare. Quando il pomodoro comincia ad ammorbidirsi senza
fare poltiglia, aggiungere i ceci, in gran parte interi e in piccola parte
passati col passaverdure, e un po’ di acqua di cottura così da creare un
composto morbido, non fermo ma non acquoso, da zuppa, aggiustare di sale. Se si
opta per gli gnocchetti mettere un po’ più di acqua e cuocerli direttamente
nella pentola, altrimenti far bollire le altre paste a parte in acqua salata,
quindi scolarle uno o due minuti prima della cottura e finire di cuocere in
pentola.
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