Conserva di pomodoro con odori di montagna mediterranea per cucinati
In qualunque
paesino italiano che non sia un semplice quartiere dormitorio di una grande
città la domanda ‘de chi si fijo?’, intendendo con questa espressione
dialettale la parentela in senso più che ampio che potrebbe trovare
ramificazioni fin nella notte dei tempi, è un modo come un altro per decidere
se l’interlocutore meriti o meno attenzione e se vi sia una qualche forma di
collegamento territoriale.
Una volta
stabilito che effettivamente c’è una qualche parentela con gli oriundi, si
cerca di rimestare nella memoria di narrazioni farcite di soprannomi, storielle
più o meno inventate, odori e suoni di remote e talvolta remotissime infanzie,
per avere un’idea della persona e per decidere se sia o meno il caso di offrire
un caffè, un dolcetto o semplicemente del tempo per chiacchierare e conoscersi
meglio, ma soprattutto per definire l’eventuale livello di identità locale e di
possibile ‘appartenenza’ alla storia, alla memoria del paesino e delle terre
che lo circondano.
Una volta
stabilito con un buon margine di esattezza alberi genealogici di cui talvolta
gli stessi interpellati non hanno conoscenza e fatti i dovuti paragoni nel modo
di parlare o di apparire così da individuare il lontano o lontanissimo parente
cui si dovrebbe o potrebbe somigliare ecco che si scatenano i paragoni e
comincia la conversazione.
In un Paese con
una tale cultura è quasi ovvio che viga il diritto di consanguineità per quanto
concerne la cittadinanza legale e la proposta di un diritto di cittadinanza
collegato al luogo di nascita e residenza è questione complessa che, infatti,
sta incontrando molte difficoltà nel cammino normativo.
L’essere
considerati cittadini di uno Stato perché un certificato dimostra che si è nati
in quel luogo, che si sono frequentate le scuole in quel luogo, perché si parla
quella lingua e si conoscono le usanze presuppone la percezione popolare dello
Stato di diritto ovvero che il senso di appartenenza ad una Nazione dipenda in
primo luogo dalla cittadinanza attiva, dalla partecipazione alla vita civile e
dunque vuol dire dar credito alle istituzioni che rappresentano lo Stato quali
enti preposti alla definizione dell’esistente e della narrazione dell’esistente.
Se nella cultura
popolare italiana si potrebbe eventualmente accettare che un atto scritto possa
certificare qualcosa, il senso di appartenenza, la cittadinanza attiva è
considerata ancor oggi qualcosa che afferisce alla sfera della narrazione
condivisa, finanche del pettegolezzo ma soprattutto di quei legami familiari
che costituiscono la Nazione.
Ovviamente il
discorso cambierebbe alquanto se lo Stato fosse più presente sui territori non
quale entità di cui diffidare bensì quale elemento fondamentale per stare bene
insieme, per condividere i momenti importanti del paese, della comunità di
riferimento, ecc. A questi aspetti, però, solitamente pensano le chiese, di
qualunque confessione con una predilezione per quella cattolica e, se è
possibile trovare un campanile in ogni paesino, non è altrettanto facile
trovare un luogo in cui lo Stato esprima la propria essenza partecipativa,
senza contare il disamore profondo della cittadinanza nei confronti della
Politica, che troppo spesso in Italia è politichetta da corrotti e corruttori.
Questa ricetta,
che unisce tradizioni territoriali differenti, è ispirata alla bellezza della
partecipazione.
Pomodori ben
maturati sulla pianta
Sale di roccia
siciliano
Olio
extravergine di oliva
Rosmarino fresco
Ginepro bacche
Timo fresco
Lavare bene i
pomodori, tagliarli a pezzettoni, porli nella pentola d’acciaio con olio e
sale. Lavare gli odori, metterli nell’insaporitore Ipac I genietti, chiuderlo
bene, mettere nella pentola. Far bollire, togliere l’insaporitore e metterlo da
parte, passare i pomodori col passaverdure, far ribollire il sugo, rimettendo
dentro la pentola l’insaporitore, fino a che il sughetto sarà abbastanza denso.
Versarlo nei barattoli molto ben puliti, lavati nella lavastoviglie ad alte
temperature oppure bolliti, chiudere, porre in una pentola coperti d’acqua, dal
momento in cui l’acqua bolle vivacemente far bollire per almeno 40’. Far
intiepidire, quindi porre i barattoli a testa in giù per ulteriore controllo di
chiusura. Riporre in dispensa.