Pasta calamarata
al forno
Emilio Salgari
aveva vent’anni quando Garibaldi morì. Le sue avventure non erano certamente
sfuggite agli occhi assetati di conoscenza del creatore di Sandokan, tant’è che
l’abbinamento tra il Generale e la Tigre della Malesia risulta quasi immediato,
non soltanto e non tanto leggendo i libri di storia, quanto scorrendo le
Memorie autobiografiche di Giuseppe Garibaldi. Salgari sembra in taluni passi
essere lì, a correggere le bozze di un libro lungamente distillato e dunque
concluso in fin di vita nell’isola di Caprera, le sue parole, alcune sue
espressioni e quel coraggio insolente, folle e vagamente anarchico del pirata
più amato della letteratura di tutti i tempi, sembrano affiorare come spuma di
onde nei ricordi del corsaro con la giubba rossa, il poncho e il cappelluccio. Il
Generale scrive, molti affermano in modo mediocre, e il suo stile un po’
divertito e un po’ sghimbescio viene captato da Salgari, rielaborato e
trasformato in meravigliosa letteratura fantastica. Certamente Garibaldi non
era Manzoni eppure non era uno scrittore pessimo, anzi. Egli racconta come
sanno fare i marinai, col ritmo della placida navigazione che si alterna all’impetuosità
delle tempeste più perigliose, annoda i fili di storie e avventure con l’abilità
con cui si crea un macramè fino ad ottenere un disegno semplice e complesso,
fatto di pieni intrecciati strettamente e di vuoti che lasciano trasparire la
luce calda del sole.
Molti sono gli
episodi della vita di Garibaldi che potrebbero essere raccontati con la stessa
forza fiabesca con cui sono scritti i più bei romanzi di Salgari, un uomo di
terra che fondamentalmente immaginò tutto ciò che scrisse, lasciando la sua, e
la nostra fantasia, viaggiare sui flutti impetuosi delle avventure al largo di
Mompracem. Un altro elemento che accomunò la vita di questi due esploratori d’avventure
fu la relativa povertà in cui vissero, il più anziano poté permettersi di
acquistare una bella casa grazie ad un’eredità fraterna e il più giovane venne
di fatto suicidato da datori di lavoro avidi, mediocri e incapaci di
comprendere il genio.
Questa ricetta è
ispirata alle più avventurose pagine della letteratura italiana e mondiale.
Calamarata
Pomodori maturi
Olio
extravergine di oliva
Sale integrale
siciliano
Basilico
Cipollina fresca
Acqua
Mozzarella
Capperini
dissalati
Olive a fette
Melanzane tonde
Pangrattato
Lavare le
melanzane, tagliarle in fette di circa mezzo centimetro, salarle, metterle a
strati in uno scolapasta con un peso sopra, ad esempio uno strato di carta
pellicola con sopra una pentola piena di acqua fredda, così che possano tirar
fuori l’acqua e l’amaro. Lasciarle sotto sale per qualche ora o per una notte
intera. Asciugarle, tamponandole, con la carta assorbente, quindi friggerle in due
dita di olio extravergine di oliva, farle scolare su carta assorbente. Lavare i
pomodori, tagliarli grossolanamente, far scaldare l’olio con la cipollina
tritata finemente, versarvi i pomodori, salare, far cuocere non troppo a lungo,
passare col passaverdure, continuare a cuocere, fino ad ottenere un sugo non
troppo denso, aggiungendo prima i capperi, le melanzane tagliate fritte
tagliate a pezzetti e le olive e, a cottura pressoché ultimata, il basilico. Far
bollire l’acqua, salarla, versarvi i calamarata, cuocere per circa ¼ della
cottura indicata, scolare, far freddare sotto l’acqua fredda, condire col sugo
in abbondanza e con la mozzarella sbriciolata con le mani, mescolare bene,
porre in una teglia antiaderente leggermente oliata, coprire con altro sugo e
quindi con una spolverata di pangrattato. Infornare in forno ben caldo a 180°C
o 200°C fino a cottura ultimata, servire caldo, tiepido o a temperatura
ambiente, a piacimento.
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