“Il
Piave mormorava / calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il
24 maggio...” Questo è l'incipit di una delle più note canzoni
patriottiche italiane, e che fu effettivamente inno italiano anche
immediatamente dopo la liberazione del nostro Paese dalla dittatura
nazi-fascista per ribadire la scelta scellerata e colpevole della
Casa Savoia di consegnare di fatto l'Italia a Mussolini e alla sua
cricca di gerarchi e picchiatori. L'inno fu composto, in occasione
della battaglia che vide gli scalcinati soldati italiani sconfiggere
l'esercito austro-ungarico, dal napoletano Ermete Giovanni Gaeta, che
si faceva chiamare E.A. Mario in onore del nobile, di nascita,
patriota garibaldino e mazziniano Alberto Mario, un patriota della
provincia di Rovigo, protagonista di certa fama del Risorgimento
veneto e italiano. Il collegamento tra il Nord e il Sud in questa
canzone che ancor oggi echeggia nella memoria patria è indicativo di
quello che è il sentimento di italianità per gli italiani di
qualunque regione e latitudine, un'unità creata con e composta di
differenze culturali, linguistiche e ovviamente culinarie, eppure
profondamente radicata in un territorio la cui caratteristica
primaria è l'espressione della bellezza in forme e stili affatto
differenti tra loro. “L'uomo del futuro – scriveva nel 1925 il
nippo-austro-ungarico aristocratico ideatore dell'Unione Paneuropea,
conte Richard
Nikolaus di Coudenhove-Kalergi - sarà
un incrocio multietnico (mescolanza razziale). Le razze e le caste di
oggi – ipotizzava - gradualmente scompariranno a causa della
scomparsa di spazio tempo e pregiudizio. La razza del futuro sarà
euroasiatica-africana, esternamente simile agli antichi egiziani e
sostituirà le varietà dei popoli attuali, con una varietà di
individui”.
Non
è andata proprio così, si potrebbe affermare oggi eppure le
'mescolanze' ci sono state e spesso quelle che funzionano in modo più
efficace sono quelle in cui l'essenza profonda dell'identità
culturale viene rispettata mantenendo solidissime le idee e le
pratiche di rispetto dei diritti fondamentali delle persone.
In
questa ricetta suggestioni speziate dell'Estremo oriente dialogano
con elementi tradizionali della cucina italiana,
con un risultato in cui il dolce, il salato, l'amarognolo e lo
speziato esprimono la loro essenza senza sovrastare aromi, sapori e
tipicità.
Farina
sabina
Olio
extravergine di oliva Sabina D.O.P. o di sasso dei Monti Lucretili
Spumante
Curry
mild in polvere
Zenzero
in polvere
Genziana
di Papà Pietro
Mele
Cardamomo
Curcuma
in polvere
Lievito
di birra
Acqua
tiepida
Parmigiano
Reggiano della Latteria Sociale di Beduzzo Inferiore
Impastare
la farina con il lievito di birra sciolto in acqua tiepida, un
goccetto di genziana, le spezie, il cardamomo mondato dalla buccia
esterna, le mele tagliate a pezzettini piccoli, un goccio di spumante
e di olio extravergine di oliva. Porre in un recipiente, coprirlo con
carta pellicola e una coperta, lasciar lievitare. Creare dischetti di
circa 10cm di diametro e 2cm di spessore, farcirli con un tocchetto
di Parmigiano Reggiano e marmellata di arance amare, richiuderli,
infornare in forno già caldo a 200°C-220°C per una ventina di
minuti.
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