Arrosto di tacchino al forno
Le elezioni statunitensi hanno dimostrato, per l’ennesima
volta, che la democrazia a stelle e strisce è ampiamente sopravvalutata. Si
pensa infatti che la vittoria di un candidato sia espressione di tale forma
della compiuta realizzazione pratica di tale forma di organizzazione politica.
L’idea in sé non sarebbe sbagliata ma, al solito, è sbagliata l’applicazione
pratica di tale idea. Non c’è niente di democratico in un Paese con un livello
culturale medio non particolarmente alto e infatti il presidente eletto degli
Stati Uniti è una persona che ha condotto la propria campagna elettorale con un
linguaggio comprensibile anche a chi non capisce l’inglese. In momenti clou
egli tirava su col naso in modo talmente fastidioso da far svegliare anche chi
fosse stato comodamente appisolato in poltrona oppure di attirare l’attenzione
anche di fosse stato in altre faccende affaccendato. Durante i dibattiti non ha
smesso di pronunciare la parola ‘disaster’, traducibile in italiano con ‘macello’,
‘casino’, ovvero la sconsolata constatazione della scelleratezza delle azioni
di politicanti per lo più distanti dalle reali esigenze del Paese da parte
della maggior parte delle persone. Egli ha affermato di ‘non aver mai potuto
immaginare sé stesso in qualità di politico’, marcando sensibilmente l’accento
sulla parola con lo stesso disprezzo di chi stesse pronunciando un’offesa, un
insulto. Incessantemente, costantemente, ha recitato la parte del grande uomo d’affari
scaltro e di successo, greve e gretto che se ne frega della politica ma che ha
deciso di fare la concessione di candidarsi perché proprio non se ne poteva più
di questi politicanti. Non è un sentimento di anti-politica, è molto peggio, è
enorme capacità comunicativa unita a fortissimo disprezzo per le istituzioni. I
peggiori dittatori hanno avuto tali caratteristiche, straordinaria capacità
comunicativa e disprezzo per le istituzioni e per lo Stato. I commentatori, i
giornalisti e i politici sono stati a guardare, pensando che la donna che dava
il senso di essere una buona madre e una persona assennata potesse avere
maggiore presa sull’elettorato e invece le sue parole trascorrevano
morbidamente sullo schermo, passando inosservate alle orecchie di chi, come
molti statunitensi, non conosce bene l’inglese o di chi, come molti
statunitensi, è assuefatto alla continua presenza della televisione accesa
nella propria casa e rapidamente perde la concentrazione se non è richiamato da
suoni atavici, fastidiosi e sgradevoli o semplicemente forti e insoliti.
Chi ha vinto in queste elezioni presidenziali non è stato un
candidato o una lobby, bensì una comunicazione fondata su suoni atavici e
gutturali, versi che esprimono un’universalità del linguaggio che apre nuove
possibilità di comunicazione.
Questa ricetta è ispirata agli istinti primari degli
statunitensi.
Arrosto di tacchino
Vino bianco
Bacche di ginepro
Timo
Timo citronella
Rosmarino
Salvia fresca
Menta fresca
Sale grigio di Bretagna
Olio extravergine di oliva
Cipolla fresca
Aglio rosso di Sulmona dal Parco Nazionale del Gran Sasso e
Monti della Laga
Acqua
Latte
Lavare le erbe aromatiche, affettare aglio e cipolla, mettere
il tacchino nel vino per qualche ora girandolo di quando in quando. Quindi
versare l’arrosto e il liquido di ammollo in una teglia, spennellare la parte
che resta fuori dal liquido con olio extravergine e infornare in forno caldo a
circa 160°C o 180°C fino a cottura, dopo circa un paio d’ore o poco più. Lasciarlo freddare. Affettarlo in fette di
circa 1 centimetro e mezzo, lasciarlo ammorbidire per almeno una notte nel
liquido di cottura rimasto a cui è stato aggiunto del latte intero, quindi
scaldare e servire.
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