Ciambella veloce ripiena di Pasqua, ricetta di Mamma
Lucilla
L’uscita della
Gran Bretagna dall’Unione europea ha iniziato il suo iter burocratico, un
percorso lungo, molto contestato e che sta creando non pochi dissensi interni
al Regno Unito. La Scozia si sta battendo fieramente per rimanere nell’Unione,
asserendo che Brexit annulla di fatto il precedente referendum
sull’indipendenza scozzese visto che coloro che affermavano l’importanza di
rimanere insieme all’Inghilterra, al Galles e all’Irlanda del Nord asserivano
che quello fosse l’uico modo per rimanere all’interno dell’UE. Un paradosso,
affermano nella terra del whisky, una ovvia decisione, rispondono sul Tamigi.
Un dialogo, si fa per dire, tra due donne, Theresa May e Nicola Sturgeon
convinte della giustezza delle proprie azioni, cui si aggiungono i malumori
dell’Irlanda del Nord e le preoccupazioni di Gibilterra. Sulla rete gira un
divertentissimo video che si conclude con una battuta fulminante, se la Gran
Bretagna vuole uscire dall’Europa dove vuole andare, in Asia forse? Theresa May
dal canto suo assicura che Brexit sarà un modo per ripensare l’unione, un mastodonte
burocratico che ha poca efficacia a livello internazionale, a far da
contrappunto Nicola Sturgeon, e una parte consistente della House of Commons, che
le ricorda che al momento l’UE è la prima economia al mondo e il primo
interlocutore economico della Gran Bretagna, l’unione di Stati meno
guerrafondaia che si sia mai vista e il primo esperimento duraturo di pace e
prosperità europea. Theresa May risponde a distanza che sessant’anni di
relativa pace europea non dipendono dall’UE pertanto proseguirà la cooperazione
con la NATO e terrà le truppe nell’Europa orientale. Chi non avesse nutrito una
certa simpatia per gli scozzesi non può che pensare che, in fondo, il tartan
del club degli italiani è proprio carino e girare in kilt per le vie di Roma,
Madrid, Parigi, Lisbona, Zagabria, Bruxelles potrebbe non essere poi una idea tanto
pessima eppure le idee della May sono più che pericolose, inquietanti. In primo
luogo perché ripensare l’Europa è oggi più che mai necessario, è vero che la
struttura burocratica è oggettivamente mastodontica e spesso non risponde alle
esigenze della cittadinanza bensì ad alcuni interessi particolari seppure sia
al momento l’unica vera barriera difensiva di talune conquiste sociali e di
libertà nel Vecchio Continente. È altresì vero che, se fino a qualche anno fa
l’UE interveniva anche economicamente su progetti anche locali dando
l’impressione di essere presente nei territori, da troppo tempo si intravedono
oscure mani che si appropriano di fondi pubblici, sdoganando abitudini non
propriamente attente alla legalità. Per questo è giusto prendere il mazziniano
sogno di Ventotene e lanciarlo fuori dalla finestra? No, evidentemente. Giusto
sarebbe ripensare davvero l’Europa quale unione di forze diverse, immaginare
centri culturali, economici e turistici europei sparsi per tutto il vasto
territorio dell’Unione, sul modello francese, in cui sia possibile sentirsi
europei, entrando fisicamente in biblioteche, centri studi, luoghi di riunione
e di aggregazione, piazzette paesane dove ritrovare quell’identità fondata
sulla diversità che oggi sembra sempre più disperdersi nei centri commerciali o
in altri non-luoghi, virtuali e reali. L’immaginazione è il primo passo verso
la realizzazione di qualcosa di nuovo. E se invece di dire no all’Europa Unita chiudendosi
a riccio e invocando la sovranità nazionale su immigrazione, frontiere,
sicurezza interna si chiedesse a Bruxelles di dire sì alle tante cittadinanze
europee, se si chiedesse a Strasburgo di muoversi concretamente per rafforzare
quell’identità europea tanto necessaria alla vita stessa dell’Unione? Se i
cittadini europei, spesso senza memoria in un luogo in cui tutto è intriso di
storia, vivessero l’UE quale luogo fisico di inclusione, di aggregazione, di
accoglienza e di conoscenza molto probabilmente potrebbero agire pensando da
europei e questo cambiamento nella mentalità sarebbe il motore stesso del
cambiamento reale, della effettiva creazione unitaria di un’istituzione
sovranazionale.
Supporre che
patti bilaterali e un impegno prevalentemente militare sia la forza dell’Europa
vuol dire non avere un progetto, una nuova idea di libertà transnazionale che
sappia essere una nazione ‘truly global’, veramente globale. Non esiste
globalità nell’assenza di idee, non esiste libertà nella negazione del diritto
internazionale e della cooperazione, dell’unione tra pari per creare stabilità,
prosperità e pace.
La negazione
della libertà di autodeterminazione che Theresa May sta cercando di imporre a
Scozia, Irlanda del Nord e Gibilterra è anacronistica così come lo è stato il
suo discorso alla House of Commons. Sembrava di ascoltare il Marchese del
Grillo interpretato da Alberto Sordi nella famosa battuta ‘perché io so’ io e
voi…’.
Per creare
cambiamento non bastano i consensi, è necessaria la capacità di visione, di
progettazione di pensiero. L’Europa unita non sarebbe mai stata creata se
Mazzini, sulle rive del Tamigi, non l’avesse ipotizzata, immaginata,
segretamente costituita. Non sarebbe mai diventata realtà se, durante gli anni
del confino a Ventotene a causa della dittatura fascista scontato insieme a
dissidenti martiri in nome dell’altra grande dittatura, quella comunista, un
manipolo di visionari dissidenti finanche dai dissidenti stessi non ne avesse
immaginato la struttura su un Manifesto clandestino. L’Europa non sarebbe un
luogo in cui le frontiere non esistono più se milioni di persone non avessero
avuto la forza di immaginare che sarebbe stato anche possibile vivere in pace e
armonia con gli altri Stati, costruendo sulle differenze la più grande potenza economica
mondiale.
Nel discorso di
Theresa May l’immaginazione, la fantasia, la volontà creatrice e ideale che
scardina l’ovvio per costruire l’impensabile non c’erano, traspariva dalle sue
parole soltanto una nostalgica preminenza britannica fondata sulla forza
militare e sulla capacità capitalistica di creare accordi bilaterali sfruttando
l’indubbia appetibilità della City.
Gli unici che
probabilmente hanno gioito dopo il discorso alla House of Commons sono stati gli
avvocati che si occupano di contrattazioni commerciali internazionali,
intravedendo nella Brexit un lucrosissimo affare di ridefinizione di una infinità
di contratti sulla base di accordi bilaterali, codici e codicilli di cui poco o
niente si capirà.
Questa ricetta,
creata per caso mettendo insieme ingredienti, è ispirata alla infinità di modi
in cui si possono esprimere le diversità all’interno della medesima identità
culturale.
Acqua
Farina
Lievito di birra
Cicoria
Lonza
Mozzarella
Olio
extravergine di oliva
Sale di rocca
Sesamo integrale
Impastare la
farina con il lievito di birra sciolto in acqua tiepida e far lievitare a lungo
come per la pizza. Lavare bene la verdura, lessarla, scolarla bene, condirla
con sale e olio. Stendere l’impasto, porlo sulla carta forno, riempirlo con la
cicoria condita, la lonza e la mozzarella a pezzetti, quindi arrotolare,
torcere un po’ e dare la forma di una ciambella, spennellare con olio, guarnire
con sesamo integrale, bucherellare con la forchetta, non troppo, quindi
infornare in forno ben caldo a 210°C o 230°C per il tempo di cottura.
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