Minestrone marzolino
Il Carnevale è
appena finito e già si pensa a Pasqua e Pasquetta, alle decorazioni per la
tavola, alla scelta del menù, all’opzione barbecue in giardino o scampagnata
fuori porta, ai dolciumi che accompagneranno la fine della Quaresima nei Paesi
a maggioranza cristiana e cattolica, a prescindere dal proprio credo e dalle
proprie convinzioni. A prescindere dalla personale adesione a qualche religione
o non adesione ad alcuna, è indubbio che qualche giorno di depurazione
dell’organismo tra l’inverno e la primavera è un’abitudine, una consuetudine celebrata
un po’ ovunque. Nella religione cattolica romana i quaranta giorni quaresimali
dovrebbero essere un momento di purificazione del corpo e dello spirito, idea
che ben si confà a molte esigenze, seppur con modalità differenti. Chi ha in
animo di recitar preghiere per purificare l’anima dal peccato fa benissimo a
farlo, chi crede diversamente può però prendere spunto e cercare di dedicare
qualche momento della propria giornata al riequilibrio psico-fisico per meglio
affrontare la stagione calda con alcuni momenti di concentrazione e
meditazione. Purificare il corpo nel passaggio tra una stagione e l’altra è un’ottima
abitudine da conservare nelle modalità che ad ognuno sono più consone. L’importanza
della laicità dello Stato e del fondamentale ateismo che dovrebbe sottendere
all’organizzazione dello stesso per garantire i diritti di eguaglianza e
fratellanza mirabilmente, non troppo in verità quando si è inclusa la clausola
sui Patti lateranensi, dalla Costituzione della Repubblica italiana. Garantire
le libertà individuali e collettive all’interno di una Nazione è fondamentale,
significa, in poche parole, garantire che gli abitanti che compongono quella
meravigliosa associazione di persone che costituisce la patria siano cittadini
e non sudditi, dunque vuol dire democrazia repubblicana, quello che l’Italia
dovrebbe essere in teoria e in pratica. Laicità dello Stato non vuol dire
negare i valori che compongono la cultura nazionale bensì avvalorarne il
significato intrinseco e cambiare ciò che nega l’essenza della cittadinanza,
dell’essere cittadini partecipi e liberi di una società libera, aperta,
democratica e in continuo progresso verso il miglioramento delle condizioni
sociali, economiche, spirituali. Uno tra i primi segnali che qualcosa non
quadra in una democrazia è la scuola: un Popolo libero è formato da persone
abituate alla libertà, la cui formazione ed educazione sono uno tra i più importanti
pilastri per garantire equità e uguaglianza sociale e personale. Una persona
nata in una famiglia non ricca o non istruita deve poter essere messa nelle
condizioni, dallo Stato e dunque dalla collettività, di studiare, se dimostra
di averne voglia e di migliorarsi in continuazione, foss’anche a 110 anni, se
lo ritiene opportuno. Altro settore che generalmente esprime un disagio
democratico è la sanità, logicamente una nazione in cui la salute dei propri
componenti non è garantita non può essere una società che considera i cittadini
su un piano di eguaglianza e dunque di attivi e partecipi elementi per il
progresso della società. Sembrerà strano ma altre cartine al tornasole sono i
trasporti, la cultura, l’inquinamento, la facilità di impresa ed intrapresa, i
diritti sul lavoro, la trasparenza amministrativa, la libertà di stampa per
citarne soltanto alcuni. I trasporti sono servizi pubblici, quindi qualcosa che
deve risolvere la questione della mobilità nazionale, maggiore è l’attenzione
nei confronti delle esigenze reali, concrete della popolazione maggiore è
presumibilmente il livello di democrazia in un determinato Paese. La cultura è
la prima forma di partecipazione civica e in Italia è stata spessissimo gestita
dal clero, per fruire della bellezza, ha affermato in vario modo la Chiesa, è
necessario entrare nelle chiese, per emozionarsi insieme agli altri in quella
meravigliosa ritualità che comprende canti, luci, colori e sonorità melodiose
bisogna entrare a far parte della comunità religiosa. Giustissimo dal punto di
vista ecclesiastico, un po’ meno da quello statale che dovrebbe fornire gli
strumenti per l’implementazione dell’idea di eguaglianza tra cittadini e dunque
le possibilità per l’attiva partecipazione alla vita pubblica e sociale delle
comunità e della nazione nel suo complesso. Intraprendere un’attività in base a
ciò che si è appreso, alle proprie capacità e alle proprie inclinazioni, sia
essa una bottega artigiana o un giornale, dovrebbe essere questione non troppo
complicata e soprattutto non soffocata da leggi incomprensibili, se così è vuol
dire che il Governo dello Stato non comprende le esigenze reali dello Stato
pertanto viola il principio di democrazia negando il concetto stesso di
cittadinanza in favore di un’idea arcaica di sudditanza: la democrazia e la
repubblica non prevedono sudditi bensì cittadini. Si potrebbe continuare all’infinito
nell’elenco delle negazioni ma è più che saggio il consiglio del Primo Ministro
del Canada, Justin Trudeau, sulla necessità di trovare soluzioni e non soltanto
evidenziare i problemi. È esattamente ciò che lo Stato sarebbe chiamato a fare,
raddrizzare le storture della storia e fornire possibilità concrete ai
cittadini, comprendere le esigenze reali e garantire sempre le basi stesse
della democrazia e della repubblica. Facile a dirsi non così tanto a farsi,
eppure si può cominciare con le piccole cose. Una tra queste è la scellerata abolizione
del diritto di voto per le Province nella visione, presumibilmente alterata da
allucinogeni, della semplificazione amministrativa attraverso il taglio della
partecipazione diretta alla vita dello Stato da parte della popolazione. È evidente
che attualmente vi è un vuoto amministrativo da colmare, molte associazioni
culturali sui territori indicano da molto tempo delle strade da percorrere che
in Italia non sono neanche troppo complicate da delineare e immaginare per
unire Comuni sulla base di esigenze concrete che li accomunano. Il Lazio, ad
esempio, ha delle linee ben precise di unioni municipali definite da millenni
di storia e da esigenze comuni. I paesi vicini al mare hanno delle esigenze
specifiche, quelli vicini alle montagne ne hanno altre. In quasi tutte le
regioni italiane vi sono prodotti D.O.P. e I.G.P. che ben chiaramente
definiscono, nei discliplinari europei, linee di confine e di unione che spesso
travalicano le differenze amministrative tra provincia e provincia. È questo il
caso di quasi tutti i comitati per la promozione di vini e oli, tanto per fare
un esempio. Molte associazioni fanno di questa base culturalmente condivisa e
di queste esigenze comuni un punto di forza per creare collegamenti e
connessioni, andando evidentemente ad agire con maggiore libertà su quello che
è il sentire comune, la percezione di ‘appartenenza’ ad un luogo, un’area che
non necessariamente fanno parte della medesima provincia. La Sabina è forse la
più chiara esemplificazione di tale forma di potenziale aggregazione, ma si potrebbe
citare anche la Tuscia e moltissime altre, in quanto comprende un territorio
rimasto sostanzialmente invariato da prima della fondazione di Roma che
comprende Comuni compresi tra la provincia romana e quella reatina e che ha
delle proprie suddivisioni culturali e geografiche interne ben precise. Non è
forse un caso che la Diocesi Sabina abbia da secoli adottato tale distinzione. Se
è giusto pensare che il territorio della provincia di una grande città quale è
Roma non possa essere espressione di tali e tante esigenze, non è però
impensabile che essa sia il luogo dell’unione tra territori e che sappia porsi
quale assemblea per ascoltare e far fronte alle esigenze concrete di territori
regionali e interregionali definiti su base culturale e su affinità concrete.
Ciò sarebbe
possibile se lo Stato fosse effettivamente, decisamente laico e garante di
concetti fondamentali quali democrazia, repubblica, cittadinanza e questo è uno
tra gli innumerevoli motivi per cui dovrebbe esserlo.
Questa ricetta,
ideale per purificare l’organismo, è ispirata alla semplicità con cui si
possono unire le differenze per esaltarne l’essenza e creare un insieme
armonioso.
Carote
Patate
Sedano
Broccolo
siciliano
Funghi
champignon
Cetrioli
Menta fresca o
essiccata
Timo citronella
fresco o essiccato
Salvia fresca o
essiccata
Sale di rocca
Curry mild
Foglie di
cipolla fresche o essiccate
Acqua
Parmigiano
reggiano della Latteria sociale di Beduzzo Inferiore
Olio
extravergine di oliva
Sesamo
Pelare carote e patate, lavare tutte le verdure, tagliarle in pezzi non
troppo grossi. Porre tutto in una pentola, coprire abbondantemente ma non
troppo con l’acqua, salare e speziare, far bollire abbastanza a lungo, almeno
un’oretta. Servire su un letto di cous cous integrale oppure con la pastina
cotta a parte o con crostoni di pane bruscato, aggiungere sesamo, petali di
parmigiano e olio a crudo.
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