domenica 5 marzo 2017

Zuppa con fagioli borlotti e neri

Zuppa con fagioli borlotti e neri

Si fa un gran parlare di questione immigrazione, difficoltà di integrazione e guerre sante, muri da erigere e politiche dell’odio. Tranne ovviamente in Canada, dove il Primo Ministro Justin Trudeau ha risposto alla minaccia del terrorismo affermando che il problema era mettere in salvo i profughi. Molti hanno risposto che certamente il Canada non deve fronteggiare le difficoltà di Spagna, Italia, Grecia per quanto concerne l’arrivo di barconi della speranza carichi di vite umane con storie di violenza, fame e guerra sulle spalle. Ciò è incredibilmente vero e l’immigrazione clandestina è un problema di difficile soluzione che, per il fatto stesso di essere clandestina, si intreccia per ovvi motivi alle società clandestine o quantomeno che agiscono al di fuori della legge dello Stato, le mafie, che hanno confini ben definiti per quanto concerne il controllo di territori ma che spesso sanno comunicare in modo più efficace e veloce, o comunque segreto, di quanto riescano a fare gli eserciti organizzati. L’idea dell’accoglienza a braccia aperte andando in aeroporto a dare il benvenuto ai disperati che ogni giorno affrontano perigliosissimi viaggi della speranza è evidentemente poco praticabile nell’Europa del Sud pertanto si lascia che il problema, la questione, venga risolta in quella zona ambigua tra legalità e illegalità per poi strillare anatemi contro l’invasione musulmana in Europa.
L’antico grido ‘Mamma li Turchi’ è un grande classico in continuo rispolvero, a prescindere che tra le orde di disperati e ovviamente anche di delinquenti vi sia un buon numero di cristiani. La questione dalle coste si sposta dunque verso le città, i paesi e nelle case. In Italia non più di trent’anni fa era alquanto difficile vedere in un paese di provincia persone con i tratti somatici e il colore della pelle differente da quello italiano, sembrava quasi impensabile che qualcuno decidesse di venire in un posto da cui la popolazione andava via in cerca di fortuna, per la disperazione e per combattere la disoccupazione. Poi qualcosa è cambiato e hanno cominciato a riversarsi sulle coste migliaia e migliaia di persone, prima dall’Albania, in realtà prima erano arrivati dalla Polonia ma non ci si era badato più di tanto, poi dalla Romania, e oggi le persone di origine rumena sono forse tra le più integrate e sono diventate in qualche modo parte integrante del tessuto sociale, quindi dall’Africa e dal resto del pianeta. Da landa di emigranti a luogo di immigrazione il passo è stato più che breve, veloce e all’iniziale sgomento misto quasi a curiosità è iniziata la guerra tra poveri e la diffidenza. Lo Stato non ha dato risposte immediate e ha lasciato che la zona di ambiguità inghiottisse la questione fino a buttarla fuori nella sua enorme violenza di differenza tra ‘noi’ e ‘loro’. Alla naturale e culturalmente assodata accoglienza tipicamente mediterranea si è abbinata le altrettante naturali inclinazioni del ‘chi sei’ e ‘di chi sei figlio?’ che chiunque abbia mai vissuto in un paese della provincia italiana ben conosce. L’Italia, e gran parte dell’Europa, si è chiusa a riccio, ha innalzato il muro della diffidenza e ha affermato il principio della differenza, condendolo con retaggi atavici di paura nei confronti dei ‘Mori’, i musulmani, che sono diventati i nuovi cattivi dopo la caduta del Muro di Berlino. Una città, dopo il 1989, costituiva per una eccezione troppo evidente, quasi fastidiosa per la trasformazione del ‘nemico’ dalla minaccia sovietica a quella musulmana, una città a Nord di Atene e di fronte alle coste italiane, Sarajevo. Nella capitale della Bosnia Erzegovina, allora una regione della Jugoslavia, chiese cattoliche, ortodosse, sinagoghe e moschee erano parte integrante del tessuto sociale, era normale e ovvio che vi fossero famiglie ‘miste’, che la laicizzazione fosse stata un processo vissuto da tutte le persone credenti in qualche religione più o meno nelle stesse modalità e negli stessi tempi. A Sarajevo era, ed è ancor oggi anche se con qualche differenza, normale che un’ebrea, una musulmana, una cattolica, un’ortodossa e un’atea sedessero in un caffè coi capelli nella foggia che meglio aggradava la moda del momento, i tacchi, la minigonna a chiacchierare e ridere di uomini e della vita, sorseggiando un bicchiere di vino cotto, dopo essere state a teatro o al cinema. Un’immagine che certamente cozzava contro l’idea di musulmano cattivo, di donne sottomesse da salvare, di terroristi che vorrebbero far tornare il mondo intero al Medioevo. Casualmente un dittatore della periferia di quello che taluni amano chiamare l’Impero riuscì a raggiungere senza troppi problemi il potere, ad agguantarlo e tenerlo stretto utilizzano la feccia della feccia della società, dando libero sfogo alle follie distruttrici di un despota con il culto di sé che parlava di pulizia etnica. L’Europa lo lasciò agire, tenne Sarajevo sotto assedio per quattro lunghissimi anni, distrusse il tessuto sociale della Jugoslavia, distrusse la memoria di quell’immagine che tanto impressionava, poco importava se i cattivi erano i cattolici e gli ortodossi, c’era una guerra di religione, la prima nel Vecchio Continente dopo tanti anni, messa in atto con le modalità delle dittature novecentesche ma questo poco importava. Israele capì subito e lasciò che sul suo piccolo territorio trovassero rifugio quei musulmani, l’Italia lasciò le porte aperte, pro forma perché tanto c’era il ‘tappo’ della Slovenia che aveva sconfitto l’esercito del male in pochi giorni ricreando il muro tra Est e Ovest. Dopo la lunga e devastante guerra fratricida, l’odio si placò, Sarajevo trovò parzialmente la forza di ricostruire quel tessuto, quella rete fatta di fiducia e diffidenza, come un merletto sottile e forte. Molti punti si erano allentati, taluni rotti, si cercò di porre rimedio, cominciarono a fluire denari dai Paesi arabi più oltranzisti e si cominciarono a vedere per le strade hijab e veli di cui non s’aveva conoscenza se non da illustrazioni da libri antichi, quelli conservati nella biblioteca messa a ferro e fuoco dalla follia dittatoriale. La povertà del dopoguerra e la reazione al terrore innescò in quel tessuto una minaccia fortissima, quella della divisione integralista, e l’immagine dell’allegra compagnia di donne cominciò a sbiadire lentamente. Sì, certo, la convivenza era possibile, veniva da pensare, i musulmani non sono tutti quanti prodotti crioconservati che fuoriescono da un Medioevo che contrasta con la civiltà occidentale però l’hijab cos’è? E il velo cos’altro è se non l’affermazione della negazione delle libertà individuali e collettive? Sarajevo continua ad essere una delle città più coese dal punto di vista delle differenze religiose che ci sia nel Vecchio Continente ma qualcosa, inevitabilmente si è incrinato. Guardando un qualunque ricettario italiano viene da pensare che il tempo sana ogni cosa e che probabilmente si arriverà alla coesione, al dialogo tra culture nel modo più semplice e intuitivo, tramite la reciproca conoscenza e il dialogo ma è più che evidente che i Paesi in cui vige pace sociale sono quelli che hanno implementato politiche atte a promuovere le differenze all’interno di un quadro di legalità e valori condivisi. È questo il caso del Canada che nel 1971 promulgò il Multiculturalism Act e che da allora ha implementato tale politica avanguardistica migliorando progressivamente il livello di libertà interna, rafforzando la rete diplomatica quasi sottovoce, senza clamore eppure in modo fortissimo.
L’Italia, dal canto suo, e l’Europa, nel suo complesso, dovrebbe ben conoscere la forza creata dalle differenze e avere il coraggio di agire in modo chiaro, netto, non seguendo bensì adattando il modello canadese alla straordinaria ricchezza culturale europea, quelle diversità che rendono assolutamente unico qualunque prodotto artigianale, agricolo europeo. Il Canada conosce le differenze dagli immigrati che compongono il suo tessuto sociale, l’Europa è storicamente creata da differenze talvolta talmente minute da richiedere una approfondita conoscenza per essere visibili e palesi, tanto da essere una delle più inesplorate forme di ricchezza europea.
Seppure il Vecchio Continente abbia una storia antica, è ben più recente l’incredibile esperimento dell’Unione europea, la più innovativa forma di unione tra Stati che sia mai stata messa in pratica nel Pianeta, ben diversa dalla federazione statunitense o da altre confederazioni. Nazioni tradizionalmente in guerra dalla notte dei tempi quali Francia e Germania, le cui battaglie possono essere datate a prima ancora che l’Impero Romano cominciasse le proprie mire espansionistiche, hanno unito le proprie forze per mettere in pratica un’utopia ideata negli anni di confino a Ventotene da condannati politici scevri da qualunque forma di ideologia del pensiero e ispirati dalle sacre parole di libertà di Giuseppe Mazzini, un nome che soltanto a pronunciarlo provoca brividi di ammirazione in chi ne conosce il pensiero o si è ad esso avvicinato. L’Unione europea è la sintesi di un’Epoca, la realizzazione delle libertà progressive eppure non c’è da sedersi e attendere che essa venga distrutta in nome della democrazia che ha senso fintanto che, afferma l’immenso pensatore italiano, esiste l’aristocrazia e la cui valenza si affievolisce verso la pratica dell’associazione per la pace dell’Umanità nel senso più profondo e autentico di repubblica. L’Europa è la più meravigliosa forma di unione delle differenze, la più solida creazione di politica delle differenze e in questo, come è capitato per la danza del XX secolo, un dialogo tra le due sponde dell’Atlantico non può che essere proficua pratica di libertà. Al contrario di quanto avvenuto per la danza, il dialogo non è, di tutta evidenza, tra gli Stati Uniti e l’Europa, bensì tra il Canada, Paese in questo momento tra i più libertari del mondo, e l’Europa nel suo complesso, nella sua interezza geografica, culturale e sociale.
Questa ricetta è ispirata alla progressività delle libertà.

Pomodoro passato
Erba cipollina fresca
Salvia fresca
Timo fresco
Rosmarino fresco
Olio extravergine di oliva
Sale di rocca
Uova e farina per le fettuccine spezzate
Acqua
Fagioli borlotti già precedentemente lessati e conservati in frigo o in freezer
Fagioli neri già precedentemente lessati e conservati in frigo o in freezer
Peperoncino


Preparare le fettuccine spesse impastando uova e farina, farle asciugare e spezzettarle. Porre in una pentola il pomodoro con l’acqua, così che risulti densamente liquido al punto giusto, quindi aggiungere tutte le erbe ben lavate, eventualmente ponendole in un diffondi-aroma, salare, aggiungere il peperoncino, i fagioli cotti al dente. Far cuocere fino a che si insaporisce bene con le erbette. Aggiungere le fettuccine spezzettate quando è ben insaporito e si è un po’ ristretto.

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