Zuppa con fagioli borlotti e neri
Si fa un gran
parlare di questione immigrazione, difficoltà di integrazione e guerre sante,
muri da erigere e politiche dell’odio. Tranne ovviamente in Canada, dove il
Primo Ministro Justin Trudeau ha risposto alla minaccia del terrorismo
affermando che il problema era mettere in salvo i profughi. Molti hanno
risposto che certamente il Canada non deve fronteggiare le difficoltà di
Spagna, Italia, Grecia per quanto concerne l’arrivo di barconi della speranza
carichi di vite umane con storie di violenza, fame e guerra sulle spalle. Ciò è
incredibilmente vero e l’immigrazione clandestina è un problema di difficile
soluzione che, per il fatto stesso di essere clandestina, si intreccia per ovvi
motivi alle società clandestine o quantomeno che agiscono al di fuori della
legge dello Stato, le mafie, che hanno confini ben definiti per quanto concerne
il controllo di territori ma che spesso sanno comunicare in modo più efficace e
veloce, o comunque segreto, di quanto riescano a fare gli eserciti organizzati.
L’idea dell’accoglienza a braccia aperte andando in aeroporto a dare il
benvenuto ai disperati che ogni giorno affrontano perigliosissimi viaggi della
speranza è evidentemente poco praticabile nell’Europa del Sud pertanto si
lascia che il problema, la questione, venga risolta in quella zona ambigua tra
legalità e illegalità per poi strillare anatemi contro l’invasione musulmana in
Europa.
L’antico grido ‘Mamma
li Turchi’ è un grande classico in continuo rispolvero, a prescindere che tra
le orde di disperati e ovviamente anche di delinquenti vi sia un buon numero di
cristiani. La questione dalle coste si sposta dunque verso le città, i paesi e
nelle case. In Italia non più di trent’anni fa era alquanto difficile vedere in
un paese di provincia persone con i tratti somatici e il colore della pelle
differente da quello italiano, sembrava quasi impensabile che qualcuno
decidesse di venire in un posto da cui la popolazione andava via in cerca di
fortuna, per la disperazione e per combattere la disoccupazione. Poi qualcosa è
cambiato e hanno cominciato a riversarsi sulle coste migliaia e migliaia di
persone, prima dall’Albania, in realtà prima erano arrivati dalla Polonia ma
non ci si era badato più di tanto, poi dalla Romania, e oggi le persone di
origine rumena sono forse tra le più integrate e sono diventate in qualche modo
parte integrante del tessuto sociale, quindi dall’Africa e dal resto del
pianeta. Da landa di emigranti a luogo di immigrazione il passo è stato più che
breve, veloce e all’iniziale sgomento misto quasi a curiosità è iniziata la
guerra tra poveri e la diffidenza. Lo Stato non ha dato risposte immediate e ha
lasciato che la zona di ambiguità inghiottisse la questione fino a buttarla
fuori nella sua enorme violenza di differenza tra ‘noi’ e ‘loro’. Alla naturale
e culturalmente assodata accoglienza tipicamente mediterranea si è abbinata le
altrettante naturali inclinazioni del ‘chi sei’ e ‘di chi sei figlio?’ che
chiunque abbia mai vissuto in un paese della provincia italiana ben conosce. L’Italia,
e gran parte dell’Europa, si è chiusa a riccio, ha innalzato il muro della
diffidenza e ha affermato il principio della differenza, condendolo con retaggi
atavici di paura nei confronti dei ‘Mori’, i musulmani, che sono diventati i
nuovi cattivi dopo la caduta del Muro di Berlino. Una città, dopo il 1989,
costituiva per una eccezione troppo evidente, quasi fastidiosa per la
trasformazione del ‘nemico’ dalla minaccia sovietica a quella musulmana, una
città a Nord di Atene e di fronte alle coste italiane, Sarajevo. Nella capitale
della Bosnia Erzegovina, allora una regione della Jugoslavia, chiese
cattoliche, ortodosse, sinagoghe e moschee erano parte integrante del tessuto
sociale, era normale e ovvio che vi fossero famiglie ‘miste’, che la
laicizzazione fosse stata un processo vissuto da tutte le persone credenti in
qualche religione più o meno nelle stesse modalità e negli stessi tempi. A
Sarajevo era, ed è ancor oggi anche se con qualche differenza, normale che un’ebrea,
una musulmana, una cattolica, un’ortodossa e un’atea sedessero in un caffè coi
capelli nella foggia che meglio aggradava la moda del momento, i tacchi, la
minigonna a chiacchierare e ridere di uomini e della vita, sorseggiando un
bicchiere di vino cotto, dopo essere state a teatro o al cinema. Un’immagine
che certamente cozzava contro l’idea di musulmano cattivo, di donne sottomesse
da salvare, di terroristi che vorrebbero far tornare il mondo intero al
Medioevo. Casualmente un dittatore della periferia di quello che taluni amano
chiamare l’Impero riuscì a raggiungere senza troppi problemi il potere, ad
agguantarlo e tenerlo stretto utilizzano la feccia della feccia della società,
dando libero sfogo alle follie distruttrici di un despota con il culto di sé che
parlava di pulizia etnica. L’Europa lo lasciò agire, tenne Sarajevo sotto
assedio per quattro lunghissimi anni, distrusse il tessuto sociale della
Jugoslavia, distrusse la memoria di quell’immagine che tanto impressionava,
poco importava se i cattivi erano i cattolici e gli ortodossi, c’era una guerra
di religione, la prima nel Vecchio Continente dopo tanti anni, messa in atto
con le modalità delle dittature novecentesche ma questo poco importava. Israele
capì subito e lasciò che sul suo piccolo territorio trovassero rifugio quei
musulmani, l’Italia lasciò le porte aperte, pro forma perché tanto c’era il ‘tappo’
della Slovenia che aveva sconfitto l’esercito del male in pochi giorni
ricreando il muro tra Est e Ovest. Dopo la lunga e devastante guerra fratricida,
l’odio si placò, Sarajevo trovò parzialmente la forza di ricostruire quel
tessuto, quella rete fatta di fiducia e diffidenza, come un merletto sottile e
forte. Molti punti si erano allentati, taluni rotti, si cercò di porre rimedio,
cominciarono a fluire denari dai Paesi arabi più oltranzisti e si cominciarono
a vedere per le strade hijab e veli di cui non s’aveva conoscenza se non da
illustrazioni da libri antichi, quelli conservati nella biblioteca messa a
ferro e fuoco dalla follia dittatoriale. La povertà del dopoguerra e la
reazione al terrore innescò in quel tessuto una minaccia fortissima, quella
della divisione integralista, e l’immagine dell’allegra compagnia di donne
cominciò a sbiadire lentamente. Sì, certo, la convivenza era possibile, veniva
da pensare, i musulmani non sono tutti quanti prodotti crioconservati che
fuoriescono da un Medioevo che contrasta con la civiltà occidentale però l’hijab
cos’è? E il velo cos’altro è se non l’affermazione della negazione delle
libertà individuali e collettive? Sarajevo continua ad essere una delle città
più coese dal punto di vista delle differenze religiose che ci sia nel Vecchio
Continente ma qualcosa, inevitabilmente si è incrinato. Guardando un qualunque
ricettario italiano viene da pensare che il tempo sana ogni cosa e che
probabilmente si arriverà alla coesione, al dialogo tra culture nel modo più
semplice e intuitivo, tramite la reciproca conoscenza e il dialogo ma è più che
evidente che i Paesi in cui vige pace sociale sono quelli che hanno
implementato politiche atte a promuovere le differenze all’interno di un quadro
di legalità e valori condivisi. È questo il caso del Canada che nel 1971
promulgò il Multiculturalism Act e che da allora ha implementato tale politica
avanguardistica migliorando progressivamente il livello di libertà interna,
rafforzando la rete diplomatica quasi sottovoce, senza clamore eppure in modo
fortissimo.
L’Italia, dal
canto suo, e l’Europa, nel suo complesso, dovrebbe ben conoscere la forza
creata dalle differenze e avere il coraggio di agire in modo chiaro, netto, non
seguendo bensì adattando il modello canadese alla straordinaria ricchezza
culturale europea, quelle diversità che rendono assolutamente unico qualunque
prodotto artigianale, agricolo europeo. Il Canada conosce le differenze dagli
immigrati che compongono il suo tessuto sociale, l’Europa è storicamente creata
da differenze talvolta talmente minute da richiedere una approfondita conoscenza
per essere visibili e palesi, tanto da essere una delle più inesplorate forme
di ricchezza europea.
Seppure il
Vecchio Continente abbia una storia antica, è ben più recente l’incredibile
esperimento dell’Unione europea, la più innovativa forma di unione tra Stati
che sia mai stata messa in pratica nel Pianeta, ben diversa dalla federazione
statunitense o da altre confederazioni. Nazioni tradizionalmente in guerra
dalla notte dei tempi quali Francia e Germania, le cui battaglie possono essere
datate a prima ancora che l’Impero Romano cominciasse le proprie mire
espansionistiche, hanno unito le proprie forze per mettere in pratica un’utopia
ideata negli anni di confino a Ventotene da condannati politici scevri da
qualunque forma di ideologia del pensiero e ispirati dalle sacre parole di
libertà di Giuseppe Mazzini, un nome che soltanto a pronunciarlo provoca
brividi di ammirazione in chi ne conosce il pensiero o si è ad esso avvicinato.
L’Unione europea è la sintesi di un’Epoca, la realizzazione delle libertà
progressive eppure non c’è da sedersi e attendere che essa venga distrutta in
nome della democrazia che ha senso fintanto che, afferma l’immenso pensatore
italiano, esiste l’aristocrazia e la cui valenza si affievolisce verso la
pratica dell’associazione per la pace dell’Umanità nel senso più profondo e
autentico di repubblica. L’Europa è la più meravigliosa forma di unione delle
differenze, la più solida creazione di politica delle differenze e in questo,
come è capitato per la danza del XX secolo, un dialogo tra le due sponde dell’Atlantico
non può che essere proficua pratica di libertà. Al contrario di quanto avvenuto
per la danza, il dialogo non è, di tutta evidenza, tra gli Stati Uniti e l’Europa,
bensì tra il Canada, Paese in questo momento tra i più libertari del mondo, e l’Europa
nel suo complesso, nella sua interezza geografica, culturale e sociale.
Questa ricetta è
ispirata alla progressività delle libertà.
Pomodoro passato
Erba cipollina
fresca
Salvia fresca
Timo fresco
Rosmarino fresco
Olio
extravergine di oliva
Sale di rocca
Uova e farina
per le fettuccine spezzate
Acqua
Fagioli borlotti
già precedentemente lessati e conservati in frigo o in freezer
Fagioli neri già
precedentemente lessati e conservati in frigo o in freezer
Peperoncino
Preparare le
fettuccine spesse impastando uova e farina, farle asciugare e spezzettarle.
Porre in una pentola il pomodoro con l’acqua, così che risulti densamente
liquido al punto giusto, quindi aggiungere tutte le erbe ben lavate,
eventualmente ponendole in un diffondi-aroma, salare, aggiungere il
peperoncino, i fagioli cotti al dente. Far cuocere fino a che si insaporisce
bene con le erbette. Aggiungere le fettuccine spezzettate quando è ben
insaporito e si è un po’ ristretto.
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