Pizzicotti con limone,
melanzane e noci
Qualche tempo fa venne pubblicata una divertentissima
traduzione di un libretto di istruzioni per il mouse. In molte lingue la parola
‘mouse’ e tutte le altre parole del lessico informatico è stata tradotta prima
di essere utilizzata. È quindi ovvio che il ‘mouse’ in alcune lingue non si
chiami così bensì ‘topo’. Il libretto di istruzioni si riferiva ad un mouse a
rotelline, non ottico, che si chiamavano ‘balls’, palle, e ovviamente la
traduzione fece il giro del web perché oggettivamente era piuttosto comica.
Alcune lingue sembrano più pronte ad accogliere al proprio interno parole ‘straniere’,
specialmente se fanno parte di qualcosa di nuovo, di tecnologico, altre invece
preferiscono tradurle con un equivalente immediatamente comprensibile. L’italiano
è una di quelle lingue in cui pare che le parole straniere siano
particolarmente bene accette. Pare, sembra perché in effetti poi le parole non
italiane vengono pronunciate in modo che risulterebbe incomprensibile ai
madrelingua oppure adattate all’italiano con ibridi a dir poco raccapriccianti.
Per quanto concerne il lessico informatico è abbastanza evidente a chiunque
come ciò sia accaduto senza neanche far troppo rumore. Downloadare, uploadare,
faxare, smessaggiare sono soltanto alcuni esempi, ma su alcune parole si è
scatenata addirittura una vera e propria diatriba. È più giusto dire
scannerizzare o scansionare? È più giusto digitale, numerico o informatico? Ognuno
ha la sua teoria e la difende, solitamente e tipicamente, a spada tratta. La
faccenda, in sé, sarebbe comica se non fosse, spesso, farsesca, come nel caso
delle traduzioni di esperienze culinarie nella lingua della Perfida Albione, l’inglese.
Ora, se è comprensibile che per le tecnologie si utilizzi un linguaggio ormai
pressochè universale, è oggettivamente farsesco che in Italia, la Patria del
mangiar bene, il Paese con la più ampia biodiversità in tutto il Pianeta, il
luogo in cui si riescono a ricavare migliaia di varietà di fagioli da due tipi
che provengono dall’America Latina e che sono rimasti pressoché invariati in
tutto il resto del mondo, la Nazione che ha insegnato a chiunque il concetto di
cibo in quanto creazione artistica dalla incredibile varietà di forme, colori,
sapori, odori, in Italia dunque si debba assistere alla inglesizzazione del
lessico culinario. Pentole, paioli, caminetti, forni e fornelli, vanghe e
rastrelli si rifiutano categoricamente di essere assoggettate ad una ‘cultura’
che con il pesce ha creato il fish&chips, superato in eccellenza da
qualunque fritturina di pesce italiana, e con i maestosi buoi delle praterie
americane i ‘burger’, cioè polpette mal assemblate e ancor peggio cucinate. Senza
nulla togliere alla grandiosità della cucina anglosassone, che ha i suoi pregi
e le sue squisite specialità, o a quella Nordamericana, che presenta notevoli
ed interessantissimi spunti, veramente non si può sentir masticare male l’inglese,
l’italiano e il cibo, la cui preparazione in Italia è assimilabile all’arte che
rende mirabili e uniche le città italiane.
Questa ricetta, un pizzicotto per ricordare la bellezza
italiana, è ispirata alla bellezza della lingua di Dante, Boccaccio, Manzoni, Ariosto,
Goldoni.
Acqua
Farina sabina
Lievito di birra
Lievito madre
Melanzane
Noci locali
Limone non trattato
Miele di acacia dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti
della Laga
Timo fresco
Lavare e affettare le melanzane, grigliarle, tagliuzzarle con
le forbici. Sgusciare le noci e spezzettarle, lavare il limone e grattugiarne
la buccia. Impastare la farina con acqua in cui è stato sciolto il lievito,
lievito madre, le melanzane, le noci e il limone grattugiato, far lievitare per
almeno una notte. Creare dischettini con le mani spessi poco meno di un
centimetro inserirvi dentro una punta di cucchiaino di miele, richiudere,
aggiungere timo fresco e mettere nella carta forno nella teglia per i plum cake
piccoli. Infornare in forno ben caldo a 200°C o 220°C per il tempo di cottura
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